05 Lug 2024
L’Associazione degli Ex Consiglieri Regionali e Parlamentari di Basilicata ha organizzato un evento di grande rilievo culturale venerdì 5 luglio, presso il Museo archeologico provinciale "Michele Lacava" di Potenza grazie all’impegno e alla dedizione del suo Presidente, Aldo Michele Radice. Sotto i riflettori, la presentazione di due libri che scrutano momenti cruciali della storia della politica italiana: “Berlinguer deve morire” di Giovanni Fasanella e Corrado Incerti e “Il caso Moro” di Claudio Signorile e Simona Colarizi.
La scelta dei libri non è casuale: entrambi trattano episodi che hanno segnato profondamente la politica, e attraverso un dialogo aperto e stimolante, Giovanni Fasanella e Claudio Signorile hanno offerto nuove prospettive sulle dinamiche e le implicazioni che ancora oggi influenzano il nostro Paese.
Il Presidente Radice, originario di San Fele e figura di spicco che ha ricoperto ruoli importanti come Dirigente della Giunta e del Consiglio Regionale, Assessore e Presidente del Consiglio Regionale di Basilicata, parlando ai nostri microfoni, ha evidenziato l’importanza della memoria storica. Ha ricordato figure emblematiche come Moro e Berlinguer, sottolineando che “hanno fatto la storia dell’Italia in un periodo particolare. Hanno rappresentato un prototipo di politici oggi difficile da ritrovare”. Inoltre, ha fornito consigli ai giovani, esortandoli a “informarsi e a non allontanarsi dalla politica, perché è la politica a decidere i destini di tutti. Scansarla, non occuparsene, è un errore. Bisogna invece informarsi, leggere, approfondire e appassionarsi alla politica”, sottolineando come approfondire questi temi con chi li ha vissuti renda la politica più vicina.
Giovanni Fasanella, brillante giornalista e saggista, nonché quirinalista e redattore parlamentare originario anch’egli di San Fele, nel suo libro ‘Berlinguer deve morire’, pubblicato nel 2014 in occasione del trentennale dalla morte di Berlinguer avvenuta nel 1984, affronta temi di grande rilevanza storica. Dopo una visita ufficiale in Bulgaria, i colloqui tra Enrico Berlinguer, segretario del PCI, e Todor Zhivkov, segretario del Partito Comunista Bulgaro, si rivelano infruttuosi a causa delle loro idee contrapposte, portando a una partenza anticipata del leader italiano. Il 3 ottobre 1973, sulla strada per l’aeroporto, un camion militare colpisce l’automobile di Berlinguer, che si salva miracolosamente, con la conseguente morte però del suo interprete e il ferimento di due dirigenti comunisti bulgari che a loro volta erano in contrasto con le idee politiche di Zhivkov. L’incidente rimane avvolto nel silenzio fino al 1991, quando Emanuele Macaluso, ex dirigente del PCI e stretto collaboratore di Berlinguer, svela proprio a Fasanella, che all’epoca lavorava per Panorama, la possibilità di un complotto, orchestrato dai governi comunisti dell’Est. Tale ipotesi viene negata dai dirigenti del PCI, ma confermata dalla moglie dello stesso Berlinguer, la signora Letizia. La ricerca di prove si estende dagli archivi dell’Istituto Gramsci al dossier Mitrokhin, cercando di fare luce sulla verità dietro l’incidente. Si tratta di un’inchiesta giornalistica che, secondo quanto dichiarato dall’autore, rivela: “Elementi di novità notevoli perché consente di ricostruire l’altro polo della vicenda Moro, e cioè l’intervento sovietico e dei Paesi dell’Est nelle vicende interne italiane. Si è sempre pensato che nella strategia della tensione ci fosse una responsabilità esclusivamente degli Stati Uniti d’America e della CIA; invece, come dimostra questa inchiesta sull’attentato a Berlinguer avvenuto a Sofia nel 1973, c’è anche un’azione da parte dei conservatori del mondo comunista brezneviano”.
Abbiamo inoltre posto a Fasanella la domanda sulle possibili implicazioni storiche qualora Berlinguer fosse deceduto nell’incidente di Sofia, interrogandoci su come ciò avrebbe potuto influenzare il destino di Aldo Moro. Egli ci ha risposto: “Naturalmente, a una domanda ipotetica non si può rispondere con certezza. Quello che invece si può dire fondatamente è che, se Berlinguer fosse morto in quell’attentato nel 1973, avrebbe preso il suo posto il numero due del partito comunista, Armando Cossutta, il più filosovietico dei dirigenti comunisti. Il riformatore, l’eretico Berlinguer, sarebbe stato sostituito da un dirigente ortodosso filosovietico. Il Partito Comunista avrebbe perso influenza su larghi strati della società italiana e sarebbe rimasto nel ghetto. Quindi, possiamo supporre che non ci sarebbe stato alcun bisogno, cinque anni dopo, di sequestrare e assassinare Aldo Moro”.
Riguardo alla natura dei rapporti tra il Partito Comunista Italiano e i Partiti Comunisti dell’Est durante la Guerra Fredda, Fasanella ha puntualizzato che: “I rapporti erano molto complicati e ambigui per certi aspetti. Il Partito Comunista Italiano era un partito che aveva partecipato alla Resistenza, che aveva firmato la Costituzione democratica, però al tempo stesso aveva un rapporto molto stretto con il mondo dell’Est, con il comunismo sovietico. Rapporti non solo di natura ideologica ma anche organizzativi ed economici. Fino a un certo punto, il Partito Comunista Italiano era abbondantemente finanziato dai sovietici. Tuttavia, era un partito che, pur gradualmente e attraverso un processo complicato di contraddizioni, problemi e lentezze, aveva avviato un processo di emancipazione dal comunismo sovietico. Si può supporre ragionevolmente che, col tempo, l’obiettivo di Berlinguer, anche se non dichiarato apertamente all’epoca, sarebbe stato raggiunto: quello di portare il Partito Comunista Italiano nella grande famiglia del Socialismo e delle Socialdemocrazie europee”.
Claudio Signorile, docente universitario e noto politico italiano, Ministro per gli Interventi Straordinari per il Mezzogiorno con i Governi Spadolini e Fanfani e dei Trasporti con il Governo Craxi nonché Vicesegretario del Partito Socialista Italiano all’epoca in cui il Segretario era proprio Bettino Craxi, ha presentato il libro “Il Caso Moro”, in commercio dal 10 maggio 2024, un dialogo a due voci incentrato sugli eventi cruciali degli anni ’70, un periodo travagliato nel quale si analizzano le azioni e le decisioni dei Partiti politici, dei Servizi segreti e della Curia, riconoscendo che il tragico destino di Aldo Moro non era un esito scontato. Questo evento ha causato una frattura significativa nel sistema politico dell’epoca, distruggendo la possibilità di un “Compromesso storico” che avrebbe potuto modificare il corso degli eventi a livello internazionale.
In risposta alla nostra domanda sulle motivazioni che l’hanno spinto a scrivere sul caso Moro a distanza di anni dal suo assassinio, Signorile ci ha offerto una prospettiva approfondita. Ha sottolineato che: “Non è un libro scritto; è una conversazione tra me e la professoressa Simona Colarizi, che è una delle storiche contemporanee più importanti in Italia. L’obiettivo di questo libro è storico, non solo politico: quello di cercare di capire non chi ha ucciso Moro, né di sciogliere un atto criminale o una spy story, ma perché Moro è stato ucciso, cioè in quale contesto storico, in quali condizioni, quali sono state le ragioni che hanno portato all’assassinio di Moro. Questa morte politica, questo assassinio politico, deve essere messo bene in evidenza. Se si considera la morte di Moro come un atto dei brigatisti, si sbaglia; naturalmente, è anche quello, ma il contesto nel quale Moro viene assassinato è un contesto politico”.
Abbiamo poi chiesto al Vicesegretario socialista di chiarire i motivi che hanno impedito il successo della trattativa da lui condotta per la liberazione dell’On. Moro, e Signorile ha replicato dicendo che: “Non era una trattativa, perché non c’erano le condizioni della trattativa; era la costruzione di un atto unilaterale di umanità, quindi la liberazione di un prigioniero che non aveva commesso fatti di sangue, per consentire il primo passo: quello della sospensione della sentenza che era stata emanata dai brigatisti che avevano Moro nelle mani, nella quale dicevano che sarebbe stato ammazzato. Ecco, aprire la porta a un percorso che poteva portare effettivamente alla liberazione di Moro da una parte e probabilmente a un atto di ulteriore umanità nei confronti di alcuni brigatisti e prigionieri, ma tutto questo è semplicemente stato impostato e avviato; l’ho fatto io, ma non è mai riuscito a diventare un elemento concreto perché, proprio quando si doveva riunire la Direzione Democristiana, che avrebbe dovuto dare un via libera, o comunque un’apertura, Moro venne ucciso, venne ucciso nella notte tra l’8 e il 9 maggio, ed è il motivo per il quale noi ci siamo detti: perché? È una morte così chiaramente critica che non può essere affidata solamente a una lettura criminale; ci deve essere una comprensione più completa di quello che stava accadendo, e questo lo abbiamo ben capito: non si volevano cambiare gli equilibri che, dopo la vittoria della Seconda Guerra Mondiale e la realizzazione degli accordi di Jalta, dovevano rimanere stabili ed immobili”. Ha poi aggiunto un aspetto fondamentale sul coinvolgimento britannico nel caso Moro: “Non l’Inghilterra, ma i Servizi, l’Intelligence inglese; noi eravamo un po’ dei sorvegliati speciali. C’è stata una presenza costante di attenzione dell’Intelligence su quello che accadeva in Italia ed, in particolare, intorno alla vicenda Moro”.
Filomena Dattoli
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